i foraminiferi

mercoledì 11 settembre 2013

Microrganismi "Keystone", specie chiave nell'ecosistema

Microrganismi "Keystone"

Via via vengono identificate in vari ambienti nuove specie chiave (keystone) cioè specie la cui scomparsa danneggerebbe molte altre specie che vivono nello stesso ecosistema, determinandone il progressivo collasso.  E non è detto che siano le specie più abbondanti o più evidenti!

Un esempio? Eccolo:

Tutti sappiamo che le barriere coralline sono composte da formazioni rocciose costituite e accresciute dalla sedimentazione degli scheletri calcarei dei coralli. Sappiamo anche che  le barriere coralline sono un ecosistema unico per biodiversità. 
Chi ha avuto la fortuna di vederle se ne è senz’altro reso conto! Infatti qui trovano rifugio milioni di specie diverse di piante, animali e protisti, per le  quali le barriere rappresentano una  sorta di oasi ricca di nutrienti, in un ambiente, come quello dei mari tropicali, generalmente povero.
Resta comunque la straordinarietà di strutture tanto massicce costruite da   piccoli organismi: i polipi del corallo misurano pochi mm, sono parenti delle meduse e delle attinie,  tutti animali appartenenti al philum degli Cnidari e considerati scarsamente evoluti, a struttura semplice non possedendo neppure veri organi interni.
Ma ancora più stupefacente è che la vita dei coralli dipende da organismi addirittura più piccoli (pochi micrometri) e strutturalmente più semplici; senza i quali tuttavia le grandi barriere coralline non si formerebbero e il loro intero ecosistema non esisterebbe, o scomparirebbe.

Si tratta di protisti (organismi unicellulari eucarioti) più precisamente di Dinoflagellati fotosintetici del genere Symbiodinium.

Vivendo come simbionti all'interno dei polipi del corallo i Symbiodinium catturano la luce e trasferiscono fino al 95% della loro produzione fotosintetica all'ospite, sotto forma di zuccheri, amminoacidi e  carboidrati complessi. I polipi del corallo, in cambio, forniscono loro composti inorganici quali ammonio e fosfati, che sono fattori limitanti per  gli stessi  produttori.

Si tratta quindi di una simbiosi mutualistica, nella quale l'abbondante riserva energetica fornita dal simbionte all'ospite rende anche più efficiente la precipitazione del carbonato di calcio per l'esoscheletro, concorrendo per questa via alla costruzione delle barriere e  delle isole coralline.

       Negli ultimi decenni molte barriere coralline non godono di buona salute, perché, in condizioni di stress, i polipi espellono i simbionti da cui, come detto sopra, dipende la loro sopravvivenza. 

Perdendo i simbionti i polipi perdono il colore e appaiono biancastri e sfibrati. Per questo si parla di  "bleaching", ovvero  sbiancamento.




                          Barriera corallina in buona salute!


Questo fenomeno è apparentemente legato sia a periodi di innalzamento della temperatura (da 1 a 3°C) sia ad altri  fattori direttamente o indirettamente  antropici.
Un recente rapporto del WORLD WILDLIFE FUND prevede che la frequenza e l'intensità dello sbiancamento aumenteranno e che 
nel 2050 resterà meno del 5% della grande barriera corallina australiana; con essa entrando in crisi anche tutti gli altri organismi che beneficiano del suo   habitat particolare .Come se in un oasi venisse a mancare l'acqua!

Il caso delle barriere coralline dimostra che, come nel versettto del Vangelo "La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo"; l'elemento a torto giudicato meno importante (un micorganismo la cui biomassa è irrilevante) può invece essere il fattore decisivo per un intero ecosistema. 
Inoltre visto che il rapporto tra corallo e Symbiodinium è di simbiosi mutualistica è dimostrato ancora una volta che insieme ai microrganismi si può! (vedi post precedente.)
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                Barriera che ha subito il fenomeno di Bleaching!

lunedì 11 marzo 2013

Insieme (ai microrganismi) si può ovvero simbiosi ed evoluzione


Insieme (ai microrganismi) si può .......ovvero simbiosi ed evoluzione

Non sempre l’evoluzione biologica è guidata dalla competizione, in molti casi è basata sulla cooperazione.  Sia chiaro che questa affermazione non si contrappone alla teoria di Darwin, ma in qualche modo la integra.
Infatti l’evoluzione di una specie può consistere anche nel “tirarsi fuori dalla competizione” ad esempio adattandosi ad una dieta particolare o colonizzando ambienti difficili. Questo è spesso reso possibile dalla simbiosi. Come dire che:

 insieme diventa possibile quello che non lo sarebbe da soli.



Volete qualche esempio? eccone uno:





Nella foto è rappresentato un afide, un piccolo insetto detto "pidocchio delle piante". Si tratta di uno di quegli orribili animaletti che infestano anche le nostre piante da balcone o da giardino. A noi possono dar fastidio ma, da un punto di vista naturalistico, gli afidi sono dei veri fenomeni. Infatti, nel corso dell'evoluzione, si sono assicurati una risorsa abbondante in natura ma poco sfruttata da altri animali, per la quale quindi, non devono temere "concorrenti. Si tratta della linfa delle piante.

Perchè questa risorsa è così poco sfruttata?

Perché contiene solo zuccheri e niente proteine.

Quindi, poiché la maggior parte degli animali devono assumere le proteine mangiando (infatti non sono in grado di sintetizzare tutti gli amminoacidi cioè i "mattoni" che formano le proteine) una dieta di sola linfa non può essere sufficiente.

E allora, come hanno risolto il problema gli afidi?
semplice........ospitando un batterio chiamato Buchnera che, in
 in cambio di protezione e di disponibilità di sostanze per il proprio metabolismo, fornisce gli amminoacidi mancanti.
 Il rapporto, la simbiosi appunto, è diventato così stretto che i due organismi non possono più vivere l’uno senza l’altro!  Buchnera ha addirittura trasferito buona parte del suo genoma nel genoma dell’ospite, che probabilmente provvede a fornirgli le sostanze corrispondenti.

A volte, come si dice per le ciliegie, una simbiosi tira l’altra.

Avete fatto caso che spesso ci sono formiche intorno alle piante infestate dagli afidi?

Questo perché, nonostante l'aiuto del loro simbionte Buchnera gli afidi, devono ingerire molta linfa per sostenersi e riprodursi. Di conseguenza, espellono abbondante sostanza di rifiuto sotto forma di una sorta di melassa detta melata di cui, diverse specie di formiche, si nutrono. In cambio del nutrimento ricevuto, le formiche proteggono gli afidi, che hanno un corpo molle e nella maggior parte dei casi sono privi di strumenti di difesa, dai nemici naturali (predatori, parassiti). 



Altra dieta particolare è sicuramente il legno: una risorsa organica molto abbondante in natura ma che gli animali in genere non sono in grado di digerire.  
Eppure, un certo numero di essi hanno acquistato, nel corso dell’evoluzione, la capacità di nutrirsene. 




I più noti tra questi animali sono le Termiti (qui nella foto) che costituiscono un ordine di insetti (isotteri) esclusivamente xilofagi  (cioè mangiatori di legno), molto studiati per la loro complessa organizzazione sociale nonché per i danni che possono provocare negli insediamenti umani. Pensate che  negli Stati Uniti  provocano ogni anno danni per un miliardo di dollari. 
Però le termiti hanno una notevole importanza ecologica infatti l’equivalente di un terzo di tutta la materia prodotta ogni anno dalle piante viene divorata da loro. In un ecosistema terrestre, la produzione di materia vivente è quasi ininterrotta, e se essa non venisse demolita con una velocità pari a quella con cui viene formata, dopo poco tempo il sistema entrerebbe in crisi, perché verrebbero a mancare sia lo spazio per i nuovi organismi, sia i materiali indispensabili per lo stesso processo produttivo.

Ma come possono le termiti trarre nutrimento dal legno?

Risposta: possono farlo grazie ai simbionti che ospitano nel loro apparato digerente.

Si tratta di una comunità complessa formata da microrganismi procarioti ed eucarioti, spesso a loro volta associati in simbiosi.
Infatti molti eucarioti ospitano al loro interno o sulla loro superficie dei procarioti. Il flagellato gigante Mixotricha paradoxa (misura circa 500 micrometri di lunghezza!), ospita sulla sua membrana spirochete di almeno tre tipi diversi. Queste spirochete formano una sorta di frangia su tutta la superficie dell’ospite e, con il loro battito coordinato, ne permettono lo scivolamento tra le cellule intestinali della termite.

Questo  delle termiti è tuttavia soltanto un esempio di simbiosi “digestive”, scelto tra quelli più specializzati, ma la situazione negli erbivori in genere non è molto diversa. 

Del resto noi stessi “umani” siamo aiutati nella digestione dalla cosiddetta “flora intestinale” che altro non è se non una differenziata comunità batterica.

Volete anche esempi di colonizzazione di ambienti estremi?

Ecco un primo esempio: vita in anaerobiosi


Il metabolismo della cellula eucariotica ( cioè l’insieme dei processi chimici che avvengono al suo interno) è basato sull’ossigeno. Quindi, in generale, gli organismi uni o pluricellulari eucariotici senza ossigeno non possono vivere.

Ci sono però,sul nostro pianeta, ambienti anaerobici (senza aria) più estesi e diversificati di quanto possiate immaginare: basta pensare,come esempio, agli strati profondi dei  sedimenti marini e d’acqua dolce. In ambienti d’acqua dolce poi, ad una certa profondità, l’ossigeno può mancare anche nella colonna d’acqua, almeno in certe stagioni.

Questi ambienti, contrariamente a quanto si potrebbe pensare,  sono ricchi di vita!

Molti procarioti infatti non hanno bisogno di ossigeno e trovano in questi ambienti il loro habitat ideale. Capirete, lì si accumula tutta la sostanza organica proveniente dagli organismi che vivono negli strati superiori:  sostanze di rifiuto, insomma cacca e pipì, secrezioni, cadaveri.  Una vera pacchia per batteri decompositori!
 La produzione di questi batteri però resterebbe lì confinata, inutilizzata, se non ci fossero dei protisti, quindi microrganismi eucariotici, adattati a vivere senza ossigeno i quali, nutrendosi dei batteri stessi la rimettono in circolo.  Questi protisti infatti potranno essere mangiati da altri che vivono un po' più in alto, dove c’è ancora ossigeno, questi a loro volta saranno mangiati da piccoli animali……. e così via.

E la simbiosi cosa c’entra?

C’entra, visto che tutti gli eucarioti anaerobici (oltre ai protisti ci sono dei funghi) sono privi di mitocondri (gli organuli cellulari per il cui funzionamento è indispensabile l’ossigeno) ma contengono organuli sostitutivi dei mitocondri stessi, come questi ultimi di origine simbiotica, cioè derivati da un antico simbionte ormai 
divenuto un organulo. Sono organuli diversi dai mitocondri e diversi tra di loro:  come se fossero stati acquistati in tempi e modi diversi nei vari organismi per permettere loro di vivere senza ossigeno…comunque sempre a partire da un evento simbiotico.

 Ma, ancora una volta, una simbiosi ne tira un’altra!

Infatti  la maggior parte dei protisti che vivono nei sedimenti marini anaerobi ospitano batteri metanogeni  (cioè produttori di metano), che utilizzano l’idrogeno accumulato negli idrogenosomi (il più comune tipo degli organuli di cui sopra) migliorando in tal modo l’efficienza metabolica del loro ospite.

Vale forse la pena di ricordare che la formula del metano è CHdove C= carbonio e H= idrogeno. Quindi è facile capire com’è utile per quei batteri avere una sorta di serbatoio di idrogeno!.




Andiamo ora nelle profondità marine, dove non c’è luce e quindi non c’è fotosintesi.  
Eppure,  già dalle prime esplorazioni, si è scoperto che in vicinanza delle sorgenti idrotermali sottomarine, vivono abbondanti e diversificate comunità di organismi.  Qual’ è la fonte energetica in questi ambienti? non certo il sole! Stiamo parlando di oltre 5000 metri di profondità.  Sono i batteri chemioautotrofi,  batteri cioè che  adoperano come substrato diversi composti inorganici contenenti zolfo, abbondanti nei getti delle sorgenti.  Pensate che la produzione primaria delle sorgenti termali delle Galapagos è 2-3 volte superiore a quella della stessa zona geografica, basata sulla fotosintesi negli strati in cui arriva la luce. Gli animali si nutrono di questi batteri o di altri animali che si sono nutriti dei batteri.

E la simbiosi?

Ecco due soluzioni diverse per adattarsi, per mezzo della simbiosi, a questo ambiente, obiettivamente particolare  












Riftia pachypila.



Questo animale,  (incluso tra gli anellidi oligocheti) ed è una sorta di verme gigante che forma degli estesi gruppi attaccati al substrato soprattutto di basalto. Riftia ha un lungo, sottile, tubo composto di chitina e scleroproteine che può raggiungere 1,5 m di lunghezza, a protezione del corpo molle. Le piume colorate di rosso-arancio, vengono estroflesse dal tubo.
 Riftia non ha bocca né apparato digerente. Presenta invece un sacco contente innumerevoli batteri chemioautotrofi, ossidatori di zolfo, batteri cioè che per svolgere la loro funzione, hanno bisogno di zolfo e di ossigeno. Questi due gas però si escludono a vicenda anche perché i composti ridotti dello zolfo tendono ad ossidarsi spontaneamente. Perciò i batteri devono stare all’interfaccia tra zona ossidata e zona sulfurea..
In Riftia la simultanea assunzione di zolfo e ossigeno avviene grazie ad un particolare adattamento. Questi animali possiedono infatti due tipi di  emoglobina: un tipo lega l’ossigeno ( come ogni emoglobina che si rispetti!) per poi rilasciarlo in tutto l’organismo, l’altro lega lo zolfo in modo reversibile ( se la nostra emoglobina venisse a contatto con lo zolfo lo legherebbe in modo definitivo impedendo il legame con l’ossigeno e…. saremmo fregati). Così, attraverso l’apparato circolatorio, sia zolfo che ossigeno vengono trasportati nel trofosoma ( il sacco con i batteri) per essere utilizzati dai batteri stessi dai quali poi Riftia prende il nutrimento.







Alvinella pompeiana







Ancora più vicino alle sorgenti termali, dove la temperatura è molto alta, ambienti vive Alvinella pompeiana. IL riferimento a Pompei nel suo nome non è casuale infatti questo anellide polichete, per quanto si sa fino adesso, è l’animale che sopporta le più alte temperature: può vivere anche a 90° C. A differenza di RiftiaAlvinella ha bocca e apparato digerente e non ha simbionti interni. Ha però simbionti esterni  il cui ruolo è probabilmente quello di  rendere l’ambiente meno tossico ossidando i solfuri e “sequestrando” i metalli pesanti. 

Il sistema A. pompejana con i suoi batteri potrebbe quindi rendere più adatto l'ambiente anche per altre specie.




 Avete  notato che in tutti gli esempi che ho citato sono coinvolti dei microrganismi (procarioti o eucarioti)?  

Spetta ad una scienziata americana, morta di recente (LYnn Margulis) il merito di aver sottolineato il ruolo dei microrganismi nell’evoluzione e nel mantenimento della vita a tutti i livelli.

Anche noi umani, che ci riteniamo organismi superiori, dipendiamo da simbionti batterici! Basti pensare alla cosiddetta “flora intestinale”  composta da migliaia di specie diverse di microrganismi la cui funzione è la disgregazione delle sostanze che il nostro sistema non è in grado di smantellare, come le cartilagini e le molecole di cellulosa. Un'altra funzione importante è la sintesi di sostanze indispensabili, ad esempio la vitamina K, che svolge un ruolo essenziale nella coagulazione del sangue.







sabato 9 febbraio 2013

........e i virus?



Anche i virus sono tristemente noti come veicoli di malattie, ancora più subdoli dei batteri dal momento che sono resistenti agli antibiotici.


Ma cosa sono in realtà i virus: sono forse un altro tipo di microrganismi?


 Bella domanda!



Pensate che nel 2012 sono usciti, sulla prestigiosa rivista scientifica americana NATURE, due articoli di diversi importanti autori, intitolati rispettivamente:


"Dieci ragioni per escludere i virus dall'albero della vita"


e


 "Dieci buone ragioni per non escludere i virus dall'albero della vita".


In altre parole gli scienziati non erano e non sono ancora d'accordo se considerarli organismi viventi o no.


 Senza entrare nel merito della polemica, mi limiterò a fornirvi qualche informazione generale. 

 I  virus sono mediamente circa 100 volte più piccoli di una cellula (da 10 a 400 nanometri cioè millesimi di micron). Non possiedono tutte le strutture biochimiche e biosintetiche necessarie per la loro replicazione.  Essi consistono solo di: un genoma relativamente piccolo costituito da DNA o RNA e di una copertura proteica detta capside. Quest'ultima protegge l'acido nucleico virale; interviene nei processi di passaggio del virus all'ospite e determina le caratteristiche antigeniche del virus stesso. (cioè la capacità di riconoscere le cellule bersaglio e di essere riconosciute come estranei da queste). La replicazione virale può avvenire solo in cellule sensibili. La sensibilita’ è strettamente condizionata dalla presenza di adeguati recettori cellulari che permettono l’attacco del virus alla cellula ospite. Per questo in genere c’è una specificità tra virus e organismo infettato, anzi tra virus e tipo di cellule dell’organismo bersaglio.
     Alcuni virus hanno una seconda copertura, altri posseggono strutture molecolari specializzate ad iniettare il genoma virale  nella cellula ospite. Sono visibili soltanto al microscopio elettronico (ad almeno 40.000-50.000 ingrandimenti) ed hanno spesso una forma poliedrica regolare.

 Sono tutti parassiti obbligati e  per riprodursi  devono penetrare, o meglio, introdurre il proprio genoma in una cellula.

Una volta dentro, il genoma virale utilizza i meccanismi di replicazione del DNA, della trascrizione e traduzione della cellula ospite (suo malgrado!).

  In parole povere, i virus costringono la cellula a riprodurli, sulla base delle informazioni portate dal loro genoma. Così una particella virale (detta virione), infettando una singola cellula, è in grado di produrre migliaia di discendenti.

 Questa moltiplicazione virale è spesso sufficiente a uccidere la cellula ospite disintegrandola. Sicché  i nuovi virioni potranno spargersi andando a  infettare altre cellule.

Come vedete, in molti casi la natura supera la fantasia. Non vi pare che il comportamento dei virus, che siano organismi viventi o no,  potrebbe ispirare racconti di fantascienza?


 Immaginate ad esempio, una intelligenza estranea, magari venuta dallo spazio,  che penetrando in un corpo lo sfrutti al massimo per i propri scopi, costringendolo a comportarsi in modo anormale, fino a provocarne l'autodistruzione! 

Oppure un programma alternativo che, entrando nel computer di una fabbrica di automobili, costringa i macchinari a produrre carri armati? Non è altro che quello che fanno i virus!  (tra l'altro è per questo che si parla anche di virus informatici, anche se quella è un’altra faccenda).


Divagazioni a parte, perché i virus sono inattaccabili dagli antibiotici?

Perché gli antibiotici agiscono sul metabolismo dei batteri ma non possono funzionare su queste entità sprovviste, come detto,  di un loro   metabolismo autonomo. 


I
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martedì 29 gennaio 2013

PROCARIOTI "cattivi" e PROCARIOTI "buoni".


I procarioti


Sono  formati da una sola cellula PROCARIOTICA, cioè a struttura semplice, in cui il DNA non è racchiuso nel nucleo: 

ce ne sono tanti, tantissimi, tutti diversissimi tra di loro.

Sono così tanti che il numero delle cellule procariotiche sulla terra è molte volte superiore a quello delle cellule eucariotiche! Pensate che in ognuno di noi (di noi umani!) ci sono molte più cellule procariotiche che eucariotiche.

Sono sicura che ora  state pensando: “ma i procarioti non sarebbero i batteri, quelli  che fanno venire tante malattie? quindi sono “nemici dell’uomo”, da combattere con tutti i mezzi possibili!!|”.  

Si, è  vero: tra i procarioti ci sono molti batteri patogeni, ma vi assicuro che sono solo una piccola parte dei procarioti che conosciamo.  
Gli altri non solo non sono dannosi ma,  spesso, sono addirittura indispensabili alla nostra vita.


Infatti:


1)    I procarioti sono stati i primi organismi viventi e  la vita sulla terra che conosciamo oggi non sarebbe stata e non sarebbe possibile senza di loro (vedi post il primo inquinamento).


2)     I cicli biogeochimici e il riciclo dei nutrienti sarebbero incompleti o addirittura impossibili senza i procarioti. Ricordate che in mare aperto gli unici produttori sono microrganismi, molti dei quali procarioti, e che quindi da loro dipende la vita di tutti gli altri organismi (vedi post La Natura riciclona)



3)    I procarioti possono utilizzare, come fonte di energia, elementi e sostanze diverse, sfruttando quindi risorse inraggiugibili per altri viventi. In certi ambienti, dove non arriva la luce del sole e quindi la fotosintesi non è possibile (tipo le profondità marine e sottoterra), sostengono la vita mediante vari tipi di chemiosintesi.


4)    I procarioti possono sopravvivere in ambienti estremi dove nessun eucariote può vivere: se ne trovano in acque calde fino a 121°C e in laghi sotto chilometri di ghiaccio nell’Antartide.  Possono vivere in ambienti acidi o in ambienti salati. Inoltre tutti i prodotti naturali e, per fortuna, molti prodotti introdotti dall’uomo, possono essere degradati dai batteri.



5)    Molti organismi superiori (uomo compreso) non potrebbero sopravvivere a lungo senza endosimbionti batterici (ad esempio senza la cosiddetta flora intestinale).


Queste poche notizie sono meno che “briciole” di conoscenza sul vasto mondo dei procarioti!


E pensare che, secondo gli scienziati, i procarioti che conosciamo attualmente sono soltanto una minima parte di quelli esistenti!!!.



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